Un uomo che da un anno non vive piu con la moglie, da cui ha avuto un figlio attualmente minore e, tra gli stessi, è in corso causa di separazione giudiziale dei coniugi.
Costui non ha mai avuto un passaporto e, nonostante che lo stesso gli occorra per aver avuto una proposta di collaborazione da parte di una impresa edile che opera in un paese che non rientra nella Comunità europea, dovendo firmare il relativo contratto presso la sede di tale società, anche se il suo lavoro si dovrà svolgere in italia, la moglie si rifiuta di concederglielo, come deve fare per ottenete il predetto passaporto?
il principale referente normativo in materia di passaporti è costituito dalla legge n. 1185 del 21 novembre 1967 e successive modifiche.
Principio ispiratore della disciplina è la regolamentazione della libertà di espatrio, al cui generale riconoscimento provvede la Carta Costituzionale del 1948.
L’art. 16 della Costituzione, al comma 3, afferma infatti che “ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientravi, salvo gli obblighi di legge”.
Dal tenore del precetto costituzionale, emerge chiaramente che la libertà di espatriare, espressione della più generale libertà di movimento, pur avendo natura potenzialmente espansiva, è talora suscettibile di subire limitazioni, per la prevalenza di altri interessi ritenuti altrettanto meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento.
L’impianto complessivo della legge n. 1185 del 1967, peraltro, sembra muoversi nella direzione di configurare il passaporto come condizione normativa per esercitare il diritto soggettivo dell’individuo a espatriare.
La necessità di munirsi del passaporto è poi venuta meno, qualora si tratti di recarsi nei Paesi della Comunità Europea, che abbiano sottoscritto gli accordi di Schengen; come noto, in tal caso, basta il semplice possesso di un valido documento di identità.
Da un punto di vista sistematico, sembra corretto inquadrare il rilascio del passaporto non tra i provvedimenti concessori, costitutivi di un diritto prima inesistente nella sfera giuridica dell’interessato, ma tra le autorizzazioni amministrative, cioè tra quei provvedimenti che si limitano a dichiarare l’assenza di situazioni ostative al libero esercizio di un diritto, già facente capo al cittadino richiedente.
In definitiva, come sottolineato da autorevole dottrina, non è con il passaporto che il cittadino acquista il diritto di espatriare, poiché tale libertà già gli appartiene in quanto tale; piuttosto, attraverso il rilascio del passaporto, l’ordinamento accerta che non ci sono impedimenti alla corretta esplicazione di un diritto del privato istante.
Dopo aver ribadito, all’art. 1, il principio costituzionale della tendenziale libertà di espatrio, l’art. 3 della legge n. 1185 del 1967 individua i soggetti cui è precluso il rilascio del documento (di solito operato dalla Questura), in deroga al principio generale della normale libertà di varcare i confini del territorio nazionale.
La lettera b dell’art. 3, in particolare, afferma che, tra gli altri, “non possono ottenere il passaporto i genitori che, avendo prole minore, non ottengano l’autorizzazione del giudice tutelare”.
Questa previsione è ancora in vigore, mentre in tempi recentissimi, hanno subito una modifica le ipotesi in cui si può prescindere dall’intervento del giudice tutelare.
La legge n. 3 del 16 gennaio 2003, infatti, nel recepire talune indicazioni provenienti dalla Corte Costituzionale, ha previsto che “l’autorizzazione del giudice tutelare non è necessaria quando il richiedente abbia l’assenso dell’altro genitore, o quando sia titolare esclusivo della potestà del figlio”.
A differenza di quanto contemplato dal precedente regime, non occorre che l’assenso del genitore, per essere validamente alternativo all’autorizzazione del giudice, debba provenire da genitore legittimo, non legalmente separato o residente nel territorio della Repubblica: sarebbe illegittimo operare discriminazioni tra genitori legittimi e naturali, o tra genitori separati o meno, risultando, invece, decisivo che l’assenso provenga comunque da un genitore che, a prescindere dalla sua condizione giuridica, sia realmente interessato alle sorti del figlio, alla cui esclusiva tutela mira la legge.
La ratio della disposizione è chiara e condivisibile: il legislatore vuole infatti evitare che la prole rimanga all’improvviso privata dell’affetto e del sostegno economico di uno dei genitori: l’eventuale decisione di uno dei due di abbandonare il territorio nazionale deve essere frutto o di un autonomo accordo dei genitori o comunque del vaglio preliminare di un giudice, cui è demandato, in definitiva, il compito di scongiurare un abbandono improvviso e dagli effetti deleteri per il minore.
Orbene, di fronte al rifiuto di uno dei genitori, non rimane altra strada che il ricorso al giudice tutelare, il quale, valutate attentamente tutte le circostanze del caso concreto, dovrà pronunciarsi sulla richiesta del genitore interessato al passaporto.
Nel caso de quo, occorre premettere che l’assenso della madre di Suo figlio, se prestato, sarebbe valido: nella vigente disciplina, infatti, non influisce la circostanza, un tempo rilevante, che sia in corso un procedimento di separazione, dal momento che la legge parla dell’assenso dell’altro genitore tout court.
Il diniego della sua consorte (o ex consorte), per le motivazioni e le circostanze in cui è stato prestato, sembra piuttosto qualificarsi come un atto lato sensu emulativo, ossia compiuto con l’esclusivo intento di nuocere e senza alcun vantaggio personale, per cui se ne potrebbe discutere la legittimità.
Nondimeno, non pare opportuno disperdere eccessivamente tempo ed energie per ottenere un assenso precario e comunque non facile né da ottenere né da gestire.
Le considerazioni sopra esposte circa il contenuto e le finalità della previsione normativa inducono, infatti, a ritenere preferibile rivolgersi al giudice tutelare per sollecitare una sua pronuncia sull’ottenimento del passaporto.
L’istanza di autorizzazione dovrà essere volta a mettere in evidenza sia gli specifici, contingenti e validi motivi della richiesta, sia il fondamento strettamente giuridico della pretesa fatta valere, sia l’inidoneità del proprio allontanamento a mettere a repentaglio la serenità e la stabilità economica del minore.
Dovrà illustrarsi, infatti, che nel caso di specie, nessun pericolo potrà derivare al minore dalla breve assenza del padre dal territorio nazionale, al contrario, si dovrà provare che, da questo Suo soggiorno all’estero, potranno derivare solo effetti positivi per il sostentamento del minore, trattandosi di un’importante opportunità di lavoro.
Non convivendo con il minore, poi, dovrà illustrarsi che nessun problema si pone in relazione alla quotidiana assistenza del piccolo, cui già provvede la madre.
Da un punto di vista più strettamente giuridico, infine, si potrà far leva sulla “copertura costituzionale” che riceve la pretesa giuridica vantata, nonché sulla costante evoluzione del diritto internazionale in merito alla necessità di garantire piena effettività alla piena esplicazione della libertà di espatrio, i cui limiti, di qualunque tipo siano, sono contrassegnati comunque dal carattere dell’eccezionalità.
In conclusione, in un caso del genere, si consiglia di interpellare per iscritto la madre del proprio figlio, per chiedere di prestare il formale consenso alla richiesta di ottenere il passaporto.
Qualora sia stata vanamente esperita l’actio interrogatoria, occorrerà rivolgersi al Giudice tutelare, al fine di ottenere la relativa autorizzazione, esponendo in modo chiaro e preciso le ragioni di fatto e di diritto che giustificano l’istanza.
Avv. Antonio Molfini
con la collaborazione dell'avv. Fabio Zunica